Mi raccontava papà, dai suoi quasi 84 anni: ai tempi della DC (quella vera, quella di un tempo, quella della Prima Repubblica) tutto questo passa e spassa non sarebbe potuto esistere.
Già, il passa e spassa, il cambio di casacca, le campagne acquisti di Deputati, Senatori, Consiglieri e Sindaci non esisteva. Eppure non c’era nemmeno allora il “vincolo di mandato” Costituzionale (per fortuna, aggiungo io!). Ma esistevano i Partiti. Erano i Partiti ad applicare delle regole di condotta, delle regole ideologiche che nessuno poteva obiettare e si, quando raramente c’erano eletti o anche semplici dirigenti che volevano “passare da qua a la” semplicemente, i Partiti, la Politica, non lo permetteva. Non ti accettavano nel PCI o nel PSI o nel partito Repubblicano. Non ti candidavano nemmeno nelle loro liste. Diventavi “un cane sciolto”, uno di cui non ci si poteva fidare. E pazienza se non formavi il gruppo parlamentare o non ribaltavi le maggioranze o non facevi cadere il Governo avversario. Certo, si tramava, c’erano i franchi tiratori, i ribaltoni ed i complotti ma no, i Partiti facevano i Partiti. Non le liste civiche. Perché se oggi la Politica ruota attorno alle “liste civiche” è forse perché inevitabilmente anche i Partiti hanno cominciato a comportarsi allo stesso modo. Ed ecco che si può essere tranquillamente di destra e domani mattina passare a sinistra (anche questa distinzione ormai sembra più soltanto una narrazione giornalistica che una visione idealistica della res pubblica), o viceversa. Puoi essere candidato del PD e poi essere eletto in Forza Italia. Puoi passare dal Partito Comunista alla Lega magari trovando un posto in prima fila nella lista bloccata. O addirittura passare in un partito dopo essere stato eletto in un altro. Il modo più “indolore” è però quello delle liste civiche: da li hai praticamente un pass per ogni approdo, per il partito di governo o quello dove possono offrire qualcosa di meglio. Eppure quella Prima Repubblica la abbiamo presa a sassate e monetine (letteralmente) in testa, la abbiamo insultata, denigrata, disprezzata fino al midollo scegliendo i leader (o i capi) di partiti personalistici dove conta la persona. Non l’ideologia. Abbiamo coltivato ed osannato l’antipolitica (che però faceva politica eccome!) e nell’era post-ideologica assistiamo ad oscillazioni di consenso in grado, in qualche anno, di portare dal 40% al 2% o, viceversa, dal 4-5% alla maggioranza del paese, nel giro di pochi mesi. E non c’è nessuno che “si salva” da questa giostra del consenso popolare che poi, in fondo, è la culla dove nascono partiti, liste civiche, candidati ed eletti. Che a questi desiderata si adatta, che al popolo sovrano risponde (o almeno fa finta).
E se i partiti altro non sono che liste civiche un po’ più grandi, ciascuno, localmente soprattutto, può cucire su misura, per se ed i suoi elettori, un abito-programma per intercettare il consenso. Creando ad hoc generali, colonnelli e caporali a seconda delle esigenze.
Non ci si può indignare a convenienza, non ci si può scandalizzare se l’elettore per primo insegue la simpatia del leader di turno, il potente del momento, se l’elettore per primo ha abbandonato idee ed ideologie costituendo quello che chiamiamo “elettorato fluido”, capace di passare da destra a sinistra, dal riformismo al più radicale conservatorismo, dall’europeismo al sovranismo con la stessa facilità con cui si cambia la pizza preferita.
Sarà forse questa la caratteristica della così detta Terza Repubblica? Progetti politici che nascono in parte attorno ad esigenze specifiche del momento ed in parte attorno al leader di turno, Partiti che cambiano e si adattano alle mode ed ai segretari di partito per intercettare bisogni e richieste provenienti dal basso? Forse la velocità con cui cambia la società è troppo elevata e per questo la Politica rinuncerà al ruolo di guida intesa come la intendeva Gramsci. Ma di una cosa sono ragionevolmente certo: non potrà essere l’ipocrisia di chi continuerà a “predicare bene e razzolare male” ad aiutare l’umanità verso un’evoluzione. A questa ipocrisia bisogna dire no. Ideologicamente e per principio.
Giacomo D’Annibale