Trentasette dipendenti di un supermercato nella provincia di Catania sarebbero stati costretti a lavorare ben oltre le ore previste dal contratto, con retribuzioni estremamente basse. Secondo quanto emerso dalle indagini della Guardia di Finanza di Paternò, in alcuni casi la paga oraria si sarebbe ridotta a soli 1,6 euro, con stipendi mensili tra i 700 e gli 800 euro, nonostante turni che superavano le 60 ore settimanali.
L’inchiesta ha portato agli arresti domiciliari per il rappresentante legale e il direttore commerciale dell’azienda, accusati di caporalato e autoriciclaggio, e al sequestro preventivo della società, il cui valore è stato stimato in circa 3 milioni di euro.
Il procuratore di Catania, Francesco Curcio, ha sottolineato come l’indagine abbia fatto luce su una realtà drammatica: tutti i lavoratori coinvolti si trovavano in uno stato di grave difficoltà economica, costretti ad accettare condizioni lavorative degradanti e in aperta violazione della normativa vigente. Pur consapevoli dell’illegalità delle condizioni imposte — in termini di salario, orari, riposi e ferie — i dipendenti non avevano alternative valide, dovendo sostenere le necessità delle proprie famiglie.
Questa situazione di bisogno, osserva Curcio, ha compromesso la libertà di scelta dei lavoratori, limitandone l’autodeterminazione e costringendoli ad accettare trattamenti che non rispettano né i contratti collettivi né la normativa sul lavoro. Un caso emblematico di sfruttamento moderno, radicato nella disperazione economica.