L’otto ed il nove Giugno 2025 gli italiani saranno chiamati alle urne per cinque referendum abrogativi. Cinque quesiti che vedono, come sempre, le forze politiche italiane divise su posizioni contrapposte. Come riassume AGI, i quesiti riguarderanno:
Senza volere entrare nel merito dei quesiti e delle legittime posizioni, potrebbe essere interessante ripercorrere un po’ di storia dei referendum in Italia.
I referendum ABROGATIVI sono previsti all’art. 75 della Costituzione Italiana sin dalla sua prima pubblicazione. Tale istituto consente ai cittadini di ABROGARE delle norme attualmente in vigore, azione che, solitamente, comporta il ritorno a leggi precedenti o alla necessità di emanare nuove norme per riarmonizzare il quadro normativo tenendo conto della volontà popolare.
Tali referendum prevedono un QUORUM: purchè siano validi, devono recarsi alle urne almeno il 50% +1 degli aventi diritto. Nella volontà dei Padri Costituenti, serviva perché una minoranza non potesse decidere su leggi approvate dal Parlamento regolarmente eletto con le maggioranze necessarie.
Al referendum si vota “SI” o “NO” ed è possibile richiedere al Presidente di Seggio solo alcune schede sulle quali si vuole esprimere la preferenza, non concorrendo al raggiungimento del quorum per quei quesiti che si sceglie di non ritirare.
Andando a ripercorrere le varie tornate elettorali, come riporta un grafico di pagellapolitica.it, è possibile rendersi conto del raggiungimento o meno dei vari quorum.
Il Primo Referendum fu svolto nel 1974 e gli italiani furono chiamati ad esprimersi sul DIVORZIO. Prevalse il “NO” permettendo all’istituto del divorzio di restare in vigore. Negli anni seguenti gli italiani furono chiamati ad esprimersi su tanti temi che mi piace definire “etici” (Aborto, Ergastolo, Finanziamento Pubblico ai Partiti, sulle preferenze da esprimere alle elezioni ecc…) e fino al 1995 veniva agevolmente raggiunto il famoso “quorum” (ad eccezione del 1990, sulla caccia che, evidentemente, interessava una quota minima di cittadini).
Dal 1997 in poi, invece, i temi cominciano ad essere sempre più “tecnici”: dalle leggi elettorali alle carriere di magistrati e giornalisti, dalle trivelle agli incarichi nel C.S.M. diventando sempre più armi di propaganda politica di una o di un’altra parte e finendo per interessare sempre meno gli italiani. Delle 9 tornate elettorali tra il 1997 ed il 2022, soltanto nel 2011 (Acqua pubblica ed ancora una volta Nucleare) fu raggiunto il quorum con la vittoria dei “SI”.
Se ragionevolmente fino agli anni ’90 le posizioni erano “SI” vs “NO”, sempre più spesso il NON VOTO, determinando l’invalidazione completa del referendum, è entrato a far parte del panorama politico come possibilità, sempre più sdoganata ed addirittura caldeggiata da esponenti di spicco dei vari governi e partiti nel corso degli anni, trasversalmente.
Facciamo quindi chiarezza. Votare è un diritto Costituzionale. E’ anche un DOVERE CIVICO, che la riforma del testo unico sulle elezioni ha ricondotto a tale abrogando appunto piccole sanzioni precedentemente previste fino al 1993. Quindi NON è un obbligo giuridico quello di “Andare a votare”.
Se di certo, nelle elezioni che non prevedono un quorum, non votare significa consegnare letteralmente agli altri, in ogni caso, la rappresentanza popolare, dove è previsto un quorum il “NON VOTO” diviene una possibilità strategica e concreta che può anche essere intrisa non solo del mero “disinteresse” ma di un significato più profondo. La Politica, i Partiti, i rappresentanti eletti per legiferare dovrebbero fare il loro mestiere assumendosi oneri ed onori del mandato ricevuto e non utilizzare l’istituto referendario come arma di propaganda politica, a spese della collettività, su temi su cui troppo spesso i cittadini non riescono neppure ad immaginare la portata di scelte e conseguenze.
Il Referendum è l’atto più democratico che la nostra Costituzione prevede, la cui potenza è indiscussa ma non per questo è sempre “giusto”: immaginate se un Cardio Chirurgo, in sala operatoria, decidesse di sottoporre a referendum tra il personale dell’ospedale il tipo di intervento mentre siete sul tavolo operatorio, chiedendo agli infermieri, agli inservienti, agli altri pazienti.
No, non su tutti i temi dare la parola al popolo è “giusto” e democratico. Non votare al referendum non è soltanto un “NO” mascherato, ma può essere di più. Può essere un invito alla responsabilità della classe politica, troppo spesso impegnata a dimostrare di esistere e coltivare i suoi orticelli.
Sempre guardando agli esiti referendari degli ultimi anni, appare infatti chiaro che il risultato quasi sempre ricalca le “forze in campo” a sostegno del SI, del NO o dell’astensione, guidando di fatto il popolo sulle proprie posizioni che, non avendo spesso gli strumenti per valutare tecnicamente i quesiti, sceglie di seguire la parte politica di cui in quel momento si fida e riducendo il più alto strumento di democrazia ad un sondaggio (molto costoso) di gradimento.
Come ho scritto all’inizio, non voglio entrare nel merito di questa o quella posizione su questi quesiti, pur avendo ovviamente la mia.
Ma no, non sarà un interessato appello al voto (fatto da chi magari qualche anno prima invitava ad andare al mare per altri interessi opposti) a rendere giustizia a questo istituto democratico ma una classe Politica che torni ad assumersi responsabilità, ad utilizzare correttamente tutti gli altri strumenti democratici previsti dalla Costituzione ed a rivestire, una volta per tutte, nuovamente quel ruolo di guida sociale che i cittadini gli affidano.
Giacomo D’Annibale