Il governo nazionale in materia di pesca sembra essersi svegliato ed aver compreso che occorre guardare oltre la burocrazia dell’Unione Europea, i limiti ed i divieti che hanno portato il settore al fallimento. Aver poi dato centralità alla regione Marche con una conferenza internazionale che ha messo attorno ad un tavolo anche paesi marittimi extracomunitari, è un dato che va riscontrato con interesse. La sorte della pesca nel mar Adriatico è certamente importante per l’economia che ruota intorno al comparto produttivo non solo per l’italia ma per tutti i paesi dei Balcani. E fin qui tutto sembra andare a gonfie vele, nel senso di una politica che prende coscienza che occorre invertire una ultratrentennale azione degli uffici di Bruxelles tesa a contrastare lo sforzo di pesca nel Canale di Sicilia e in generale in tutto il Mediterraneo, Tirreno e Adriatico compresi, senza aver mai ottenuto alcun risultato rilevante. Soprattutto nel quadrante centrale del Mediterraneo che ha visto sostituirsi alle imbarcazioni comunitarie quelle africane e mediorientali lasciando aperto lo squarcio sui dati dello sforzo di pesca, rimasto sostanzialmente invariato. Ciò che è mutato sensibilmente è la struttura produttiva ed occupazionale del comparto, ridotto a meno del 30 per cento rispetto a trent’anni fa sia in termini di pescherecci che di occupati. Incuriosisce lo slancio del ministro della pesca italiano Lollobrigida che con entusiasmo ha annunciato l’intesa per: “costruire un piano di gioco dove le regole siano uguali per tutti e vengano applicate per tutti allo stesso modo”. Va rimarcato che a differenza de Le Marche, in Sicilia il G7 si è tenuto a Siracusa nel settembre del 2024 con la partecipazione dei ministri dell’agricoltura dei paesi membri del G7 e di rappresentanti di nove paesi africani, con l’obiettivo di promuovere la sicurezza alimentare, la sostenibilità e lo sviluppo legato ai territori. A distanza di quasi un’anno non si hanno però segnali concreti e tangibili di cambiamento nel settore per le marinerie che operano nel Canale di Sicilia e lungo i quadranti di levante e ponente del bacino del Mediterraneo. E il sottosegretario La Pietra che continua ad insistere sul tema cruciale del mancato ricambio generazionale nel settore. Lo stesso ha dichiarato in occasione della conferenza ne Le Marche che: “Esiste il rischio concreto che in futuro non mangeremo più pesce non per scarsità nei mari, ma per mancanza di pescatori. La collaborazione tra Italia, Croazia, Slovenia, Albania, Montenegro e le amministrazioni locali è l’unica strada per un futuro sostenibile del Mare Adriatico”. Siamo certi che lo stesso si sia documentato e reso conto che nessun giovane ha stimolo ad avvicinarsi in un settore dove la paga è da fame e l’ambiente di lavoro angusto e insicuro. Si, perchè grazie all’ottusità dell’Unione europea gli imprenditori ittici non hanno alcuna possibilità di ammodernare o costruire nuove imbarcazioni più sicure, confortevoli ed ecosostenibili, costretti alla battuta di pesca per un numero di giorni all’anno così risicato che è diventato insostenibile economicamente. I segnali di discontinuità da parte del governo Meloni rispetto alla dannosa politica della pesca comunitaria sono visibili e chiari. Purtroppo, non basta un’intesa tra l’Italia e alcuni paesi protagonisti del Mediterraneo. Se non si corre ai ripari con un accordo tra tutti i paesi mediterranei extracomunitari e l’Unione europea la pesca entro il 2030 chiuderà i battenti facendo felici tutti gli importatori che negli ultimi decenni hanno fatto soldi a palate; dato che il consumo di ittici non si è ridotto, anzi, è aumentato. La politica è scelta, è decisione. Ed allora, spetta a questo governo stabilire in quale direzione portare l’Italia in merito alla capacità di modernizzare il settore della pesca, affrancarsi dalla sleale concorrenza dei paesi africani, balcanici e del medio oriente, garantire una capacità reddituale sostenibile e spingere verso il ritorno dell’occupazione, soprattutto giovanile. Sarà un beneficio sicuro il riconoscimento della specificità del mare Mediterraneo ai fini della salvaguardia del mare e della tutela delle imprese che vi operano. Una scommessa che soltanto se ci si crede davvero sarà possibile vincere, riuscendo a coniugare investimenti, tutele e crescita sostenibile nel rispetto ambientale, al netto degli effetti del cambiamento climatico e delle specie aliene. Diversamente, il tutto si fermerà ai soliti proclami di circostanza del politico di turno, con enormi danni per l’economia primaria italiana, i cui pescatori sono stati nel passato degli rappresentanti e leader di una imprenditoria sconosciuta prima e destinata a chiudere i battenti.
Giuseppe Messina