La vicenda che ha riguardato la Guardia Costiera di Cagliari che ha intercettato e multato tre pescherecci di Mazara del Vallo perché sorpresi a pescare illegalmente durante il periodo del fermo biologico, il 20 ottobre 2025, a circa 20 miglia a ovest di Sant’Antioco riaccende il dibattito sulla delimitazione degli spazi marittimi e sulla legittimazione alla gestione delle risorse ittiche nel rispetto del diritto internazionale del mare. E’ opportuno un approfondimento giuridico sull’argomento complesso e ostico per i politici italiani e comunitari, per troppo tempo distratti da altri interessi.
Ed il tema non è di quelli superficiali per le implicazioni ricadenti su intere comunità di imprenditori e pescatori, dato che Algeri, dal 2018 per esempio, ha unilateralmente esteso la sua giurisdizione fino alle acque territoriali di Oristano, in sovrapposizione con Piattaforma continentale (Pc) e Zona di protezione ecologica (Zpe) italiane. L’Algeria considera parte del Mar di Sardegna propria area d’influenza. Chi frequenta le dune di Oristano può godere dello spettacolo di sottomarini algerini di fabbricazione russa classe Kilo in pattugliamento a ridosso delle rive sarde ( fonte Repubblica, 18 febbraio 2024, p. 20). La Zee proclamata dall’Algeria non è concordata con l’Italia e nei confronti del nostro Paese il limite della ZEE algerina ignora la rilevanza delle coste della Sardegna, nonostante si tratti della seconda maggiore isola del Mediterraneo. Per essere chiari, l’Algeria ha dichiarato una ZEE che si estende fino a intersecare le aree marittime potenzialmente rivendicate dall’Italia, inclusa l’area che circonda Sant’Antioco. Il nostro Paese – dopo aver protestato per la violazione dei principi del Diritto del mare- ha comunque avviato trattative per una delimitazione concordata. Ma tutto al momento resta caotico perché l’Italia era e resta assente sul versante del funzionamento dello strumento della ZEE, istituita nel 2021 ma ancora oggi in attesa di un regolamento che al momento pare riguardare soltanto il mare Adriatico, lasciando fuori tutto il resto. Non sono messe meglio le cose se guardiamo al ruolo dell’Unione Europea sul versante dello sfruttamento delle risorse ittiche in alto mare nel Mediterraneo. Soprattutto non convince la scelta di introdurre divieti di pesca alle imbarcazioni degli stati membri operanti in acque internazionali, determinando un effetto dumping che favorisce le flotte pescherecce dei Paesi non Ue operanti nel Mediterraneio che possono pescare tutto l’anno a differenza delle imbarcazioni comunitarie. Eppure il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), articolo 3, articolo 4, articoli da 38 a 44 e articolo 218 ed il Regolamento (UE) n. 1380/2013, dell’11 dicembre 2013, relativo alla politica comune della pesca tracciano il quadro giuridico sul quale l’Unione Europea si muove. E nonostante svolga un ruolo chiave per quanto concerne la cooperazione internazionale nel settore della pesca, ad oggi non pare aver concluso accordi di partenariato per una pesca sostenibile (APPS) con i paesi del Maghreb e dell’Asia Minore che si affacciano nel Mediterraneo al fine di ottenere l’accesso alle risorse alieutiche presenti nelle loro ZEE. Eppure tra g li obiettivi strategici dell’Unione europea nell’attuazione della Politica Comune della Pesca rientra quello di “contribuire ad attività di pesca sostenibili economicamente redditizie e promuovere l’occupazione nell’Unione e garantire che le attività di pesca dell’Unione al di fuori delle sue acque si basino sugli stessi principi e le stesse norme applicabili in conformità del diritto dell’Unione nell’ambito della PCP, promuovendo nel contempo condizioni di parità per gli operatori dell’Unione nei confronti degli operatori di paesi non appartenenti all’UE”. Un fallimento dietro l’altro, soprattutto nei confronti della pesca d’Altura, abituata ad operare in Alto mare dove non dovrebbero insistere divieti e vincoli, nel rispetto delle norme internazionali marittime che sono chiare ed ineludibili.
L’alto mare è, dal punto di vista giuridico, sinonimo di mare libero: luogo in cui tutti gli Stati possono avvalersi della libertà di navigazione. La II convenzione di Ginevra del 1958 ne definisce una nozione spaziale residuale stabilendo che «per alto mare s’intendono tutte le porzioni di mare che non siano territoriali o non appartengano alle acque interne di uno Stato».
Le cose cambiano con l’avvento della Convenzione sul diritto del mare (UNCLOS) che rappresenta il principale accordo internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’uso dei mari e degli oceani, regolamentando ogni aspetto come la navigazione, lo sfruttamento delle risorse e la protezione dell’ambiente marino. Firmata a Montego Bay nel 1982 ed entrata in vigore nel 1994, ha stabilito un quadro giuridico globale per tutti gli usi delle acque marine. L’art. 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), è chiaro nel prescrivere che l’alto mare è aperto a tutti gli Stati che possono esercitarvi le attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, ricerca scientifica e pesca. In alto mare si realizza perciò compiutamente il principio di eguaglianza tra gli Stati sulla base del quale ogni Stato costiero ha diritto di navigare con navi battenti la propria bandiera, le quali sono soggette alla sua giurisdizione esclusiva.
L’importanza dell’alto mare è diminuita con l’avvento del nuovo diritto del mare codificato dell’UNCLOS. Negli ultimi decenni gli spazi di alto mare sono stati, infatti, erosi dal formarsi di nuove aree di giurisdizione funzionale come le ZEE al cui interno, per quanto viga la libertà di navigazione, non si applicano tutte le altre libertà. In sostanza il regime della ZEE comprime il pieno diritto (pleno jure) che alto mare garantisce in quanto mancante di alcune delle libertà relative a cominciare proprio da quella di pesca.
Di qui la distinzione tra alto mare e acque internazionali. Si fa ricorso, quindi, alla categoria delle acque internazionali per indicare gli spazi che comprendono sia la zona contigua (fascia di mare adiacente al mare territoriale, estesa fino a 24 miglia nautiche dalla linea di base, in cui uno Stato costiero può esercitare diritti di sorveglianza e intervento) sia la ZEE. Mentre si usa il termine alto mare per l’area che si estende al di là di entrambe.
Va precisato che l’UNCLOS ha stabilito la delimitazione degli spazi marini extraterritoriali attraverso gli articoli 74, 1 e 83, 1 — relativi rispettivamente alla ZEE e alla piattaforma continentale — sancendo che «La delimitazione tra Stati con coste opposte o adiacenti viene effettuata per accordo sulla base del diritto internazionale, come previsto all’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, al fine di raggiungere una soluzione equitativa». In questo modo al metodo «equidistanza/circostanze speciali» è stata sostituita la regola dell’«risultato equitativo». Di siffatto quadro normativo sia l’Italia che l’istituzione comunitaria, guardando al Mediterraneo ed soprattutto ai rapporti con i paesi africani e asiatici, mostrano gravi ritardi, lasciando nel caos i pochi imprenditori ittici della storica flotta di pesca d’altura mediterranea che ha fatto grande la marineria di Mazara del Vallo mezzo secolo fa.
Giuseppe Messina


















