Quando ho iniziato a lavorare, pensavo che sbagliare fosse la cosa più grave che potesse capitarmi. Ogni volta che commettevo anche un piccolo errore, il mio capo mi faceva pesare tutto. Non c’erano margini: un errore era una colpa. Non un’occasione per migliorare, non un incidente di percorso. Una colpa.
Con gli anni questa dinamica ha iniziato a scavarmi dentro. Mi colpevolizzavo anche da solo, molto prima che qualcuno mi dicesse qualcosa. E più mi colpevolizzavo, più perdevo fiducia, lucidità, voglia di fare. Arrivavo a pensare che ogni mio piccolo sbaglio fosse la prova che non ero adatto, che avevo fallito, che ero un fallito.
Eppure, mentre io mi disperavo, i numeri dell’azienda crescevano. Cresceva il fatturato, cresceva la reputazione. E dentro di me cresceva un’unica domanda silenziosa: ma allora, forse non sono così incapace?
La svolta è arrivata quando ho deciso che non potevo più lasciare agli altri il potere di definire il mio valore. Non ho smesso di sbagliare, ma ho smesso di farmi definire dai miei errori. Ho cominciato a capire che gli errori sono parte del viaggio. E chi ti fa pesare l’errore spesso non ha mai avuto il coraggio di mettersi davvero in gioco. Capita di incontrarli, nella vita. Persone che usano i tuoi passi falsi per sminuirti, per dirti che non sei capace. Ma oggi ringrazio questa gente. Perché è grazie a loro che ho imparato una lezione fondamentale: se qualcuno cerca di farti sentire sbagliato, forse è perché ha paura di quanto tu possa diventare giusto.
È stato lo sguardo giudicante degli altri a spingermi a scavare più a fondo, a trovare un equilibrio che non dipende dall’approvazione di nessuno. Oggi so che ogni errore è un capitolo della mia storia, non il titolo del mio libro.
Una parola da riscoprire
Questa riflessione personale è stato il punto di partenza di una puntata di Viro Vino, il progetto che nasce dall’unione di due grandi passioni: il vino e le parole. Dopo vent’anni nel mondo del vino e una vita dedicata alle parole, ho sentito il bisogno di esplorare le connessioni tra questi due linguaggi. In ogni puntata analizzo una parola che ha agito nella mia vita, la esploro da diversi punti di vista e poi la collego al mondo del vino. Perché le parole non solo descrivono, ma creano mondi e racconti, trasformando il vino in un’esperienza culturale, sensoriale e personale.
Conoscere il significato delle parole ci permette di avvicinarci a esse, di definirne i contorni e la loro capacità di azione. Questo è il senso di questo viaggio: dare un volto alle parole con cui nel tempo abbiamo costruito distanze, distanze che ci hanno messo nelle condizioni di subirle anziché governarle.
La parola di oggi è proprio “errore”, una di quelle che ci fa tremare, che ci fa sentire piccoli. Quando sbagliamo, non è tanto il fatto in sé che ci rovina. È la percezione. È quel senso di fallimento che si attacca come una macchia. Ti fa svegliare alle tre di notte ripensando a quella mail, a quella frase detta male, a quella presentazione che poteva andare meglio. L’errore ti entra sotto pelle, ti fa pensare di non essere abbastanza, ti fa diventare più piccolo di quello che sei davvero.
Vagare, non solo sbagliare
La parola deriva dal latino “error”, che a sua volta viene dal verbo “errare“. E qui c’è già una prima sorpresa: in latino non significava solo sbagliare, ma anche vagare, andare alla ventura, deviare dalla strada. Questa doppia accezione è illuminante. L’errore è in fondo una deviazione dal percorso previsto, non necessariamente qualcosa di negativo, ma uno sviamento, un’esplorazione non pianificata.
Nel corso dei secoli, però, il termine ha acquisito una connotazione sempre più negativa. Errore come fallimento, come dimostrazione di incapacità o ignoranza. E questa visione si è radicata profondamente nella nostra cultura, soprattutto in ambito lavorativo. Eppure non esiste un collegamento automatico tra errore e incapacità. Anzi, sbagliare è la prova che stai facendo, che ti stai muovendo, che non sei fermo.
Collegare l’errore al fallimento non succede per caso. Succede perché da piccoli ci hanno insegnato che sbagliare è brutto. A scuola, a casa, al lavoro. Nessuno ti insegna che l’errore è naturale come respirare. Leghiamo il nostro valore personale al nostro risultato. Se sbaglio, allora valgo di meno. Se sbaglio, allora non sono capace. E questa è una bugia, ma è una bugia che abbiamo interiorizzato talmente tanto che anche quando facciamo cento cose giuste, basta una sbagliata per farci sentire incapaci.
Pensaci: la prima volta che hai camminato sei caduto. La prima volta che hai parlato hai detto parole a caso. Nessuno ti ha chiesto di essere perfetto. Eppure crescendo abbiamo perso il permesso di sbagliare.
Il peso del giudizio
Quando l’errore viene vissuto male, entra in gioco l’ansia. L’ansia di non essere all’altezza, l’ansia di deludere. Succede qualcosa di subdolo: non hai più paura dell’errore in sé, hai paura del giudizio che segue l’errore. Il giudizio degli altri diventa più pesante dell’errore stesso.
E allora inizi ad auto-censurarti. Non rischi più. Non proponi più idee. Ti limiti a fare quello che sai già fare, per non sbagliare. Ma così smetti di crescere. Smetti di creare. Ti spegni. È così che l’errore, da incidente di percorso, si trasforma in una prigione emotiva.
Come possiamo trasformare questa dinamica? Prima di tutto dobbiamo cambiare la nostra mentalità. Passare da una mentalità fissa a una mentalità di crescita. La prima ci porta a vedere gli errori come segni di inadeguatezza, la seconda come opportunità di apprendimento.
E poi c’è una cosa che quasi nessuno fa, ma dovremmo imparare tutti: essere gentili con noi stessi quando sbagliamo. Gli psicologi la chiamano autocompassione, che non vuol dire buttarla lì con un “tanto fa niente”. No. Vuol dire trattarti come tratteresti un amico che ha fatto un errore. Se il tuo migliore amico ti dicesse di aver sbagliato tutto al lavoro, tu gli risponderesti che è un fallito? No. Gli diresti che succede, che la prossima volta andrà meglio. Ecco, questa è l’autocompassione. Il problema è che con noi stessi siamo spietati. Ci insultiamo per cose per cui non giudicheremmo mai nessun altro.
Quando l’errore diventa genialità
La storia è piena di esempi concreti di come l’errore, da sciagura apparente, sia diventato un’opportunità straordinaria. Prendiamo Dom Pérignon, il monaco benedettino che è diventato il padre dello champagne senza neanche volerlo. Viveva nella Francia del Seicento e il suo obiettivo era produrre un vino bianco perfetto, liscio, senza bollicine. All’epoca le bollicine erano considerate un difetto, un segno che qualcosa era andato storto nella fermentazione. Eppure proprio quell’errore è diventato la firma di uno dei vini più famosi e costosi al mondo. Il destino a volte ha un senso dell’umorismo pazzesco.
Oppure pensa alla tarte Tatin, il famoso dolce francese. Le sorelle Tatin, che gestivano un hotel-ristorante, un giorno dimenticarono di mettere la pasta sotto le mele per una torta. Per rimediare, misero la pasta sopra e capovolsero il dolce dopo la cottura. Il risultato fu così apprezzato che divenne una specialità del locale.
Anche nella musica gli errori hanno generato capolavori. Durante le registrazioni di Strawberry Fields Forever, John Lennon sbagliò il tempo della voce nella seconda parte della canzone. George Martin, il produttore, decise di tagliare e incollare due versioni diverse, creando un suono nuovo che rese la canzone unica. Un errore ha creato uno dei brani più innovativi della storia della musica.
Picasso disse una cosa potentissima: ogni errore nei suoi quadri diventava un nuovo punto di partenza. Non lo nascondeva l’errore, non ci passava sopra la gomma. Lo prendeva e lo trasformava. Quello sbaglio diventava parte del quadro, una possibilità per scoprire qualcosa che non aveva nemmeno immaginato all’inizio.
Imperfezioni che rendono unici
Cosa possiamo portarci a casa da questa riflessione? Che gli errori non sono solo inevitabili, ma necessari. Sono la strada attraverso cui impariamo, cresciamo, innoviamo. La vera saggezza non sta nel cercare di evitare ogni errore, ma nel saperli riconoscere, accettare e trasformare in opportunità.
Come nel vino, dove a volte sono proprio le imperfezioni a rendere un’annata unica e memorabile, così nella vita sono spesso i nostri errori a renderci autentici e a spingerci verso nuovi orizzonti. La prossima volta che un capo, un collega, un amico o noi stessi ci faremo sentire in colpa per un errore, possiamo ricordare che è proprio attraverso gli errori che l’umanità ha fatto i suoi più grandi progressi.
Smetti di vergognarti di ciò che hai imparato. Inizia a incassare, a rialzarti, a brillare. Perché il mondo ha bisogno di chi ha il coraggio di sbagliare, non di chi sta solo a guardare.
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Salvatore Pecorella


















