Ottant’anni fa, l’Italia si liberava. Usciva da un incubo lungo vent’anni, fatto di dittatura, repressione e guerra. Ottant’anni fa, la Resistenza ci restituiva un Paese libero, ponendo fine all’oppressione nazifascista. Da lì, da quel coraggio, da quel sacrificio, abbiamo costruito le fondamenta della nostra Repubblica. Una Repubblica nata dalla scelta di essere liberi, uguali, democratici.
Oggi celebriamo quel giorno. O meglio, dovremmo celebrarlo tutti. Perché il 25 Aprile non è una festa “di parte”, ma la festa della libertà. È il giorno in cui diciamo grazie a chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte, a chi ha rischiato tutto – e spesso ha perso tutto – per restituire dignità a un popolo.
E invece, ancora oggi, c’è chi quel giorno lo vive come un fastidio. Come se riguardasse solo qualcuno. Come se la Resistenza fosse stata una battaglia politica, e non una lotta di liberazione nazionale. Come se l’antifascismo fosse una posizione ideologica e non una scelta civile, morale, umana.
Mi viene in mente una frase che ho sempre trovato potente, detta da Vittorio Foa, ex partigiano, durante una trasmissione televisiva in cui era presente anche il senatore Giorgio Pisanò, che rivendicava la necessità di una “pacificazione” sostenendo che, in fondo, “erano tutti patrioti”. Foa, con una calma disarmante, gli rispose: «Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore». Parole che dicono tutto. La libertà che oggi abbiamo, permette anche a chi non ci crede di godersela. E questo ci fa capire quanto sia preziosa.
Ma fa male vedere che, dopo 80 anni, c’è ancora chi non si riconosce in questa storia. Fa male soprattutto quando a non riconoscersi sono le istituzioni.
Oggi, a Mazara, si è celebrato il 25 Aprile. Al raduno c’erano tutte le forze dell’ordine, in alta uniforme, a onorare la ricorrenza. Le scuole assenti, un discreto numero di cittadini e la politica, o buona parte di essa, non c’era. C’era il presidente del Consiglio comunale e altri 3 consiglieri (collocabili in area progressista), il vice sindaco e l’assessore Casale. Tutti gli altri? Assenti.
Perché? Perché ancora oggi non riusciamo ad essere uniti, almeno in questa giornata? Perché non possiamo dire tutti, senza esitazione, che siamo antifascisti? Perché c’è ancora chi ha paura di questa parola?
Il 25 Aprile dovrebbe essere un giorno di memoria condivisa. Non una data divisiva, ma il simbolo di ciò che ci unisce: la libertà. E ogni assenza oggi, in quella piazza, si è sentita forte. Perché se c’è un giorno in cui dovremmo esserci tutti, è questo.
La libertà non è mai scontata. E chi oggi la vive senza riconoscerne il prezzo, rischia di perderla. Celebrare il 25 Aprile non è un rito. È un dovere. È un modo per dire da che parte della storia abbiamo deciso di stare.
Roberto Rubino