Non si può più pescare e non si deve pescare! Come ogni anno, il Ministero emana il Decreto per l’arresto delle attività di pesca nel Mediterraneo. E’ notizia di questi giorni la mancata determinazione in Sicilia del calendario per la pesca del gambero rosso, in attesa di specifiche decisioni nazionali. Storia che si ripete ogni anno con la conseguente scia di polemiche e mancati guadagni per i pescatori. E come ogni anno, ripetiamo che il fermo dei natanti da pesca comunitari non serve a nulla se nel Mediterraneo operano flotte di pesca attrezzatissime che non hanno l’obbligo di osservare alcun periodo di riposo dalle attività di cattura. Per essere chiari: laddove agli imprenditori della pesca italiani viene impedito per legge di lavorare, arrivano prontamente i tunisini, gli egiziani, i marocchini e gli asiatici. Un folle disegno che ha mortificato e continua a mortificare tutto il settore, mandando in fumo decenni di primato nella capacità di fare impresa.
In virtù di quanto premesso, appare quantomeno doveroso ritornare su l’annosa questione. C’è stato un tempo in cui il settore della pesca era tra i più ricchi per fatturato e numero di occupati, in Sicilia come nel resto d’Italia; settore, per questo, trainante il Pil nazionale, insieme all’agricoltura ed al manifatturiero. Altri tempi, perché oggi tutto è cambiato e, per il settore della pesca, sicuramente in peggio. Con l’avvento dell’Unione Europea, che, dagli anni ‘90 in poi, ha dettato legge, il settore ha subìto solo tagli, limitazioni e umiliazioni. Un comparto strategico messo al bando dall’Unione Europea per logiche di lobby economiche più che ambientali. Oggi la pesca è un settore in agonia, che languisce nell’indifferenza generale. Le imprese di pesca, sfinite, chiudono i battenti, e, con loro, si estingue l’antico ed onorato mestiere del pescatore.
A tenere banco, in questi giorni, il calendario del fermo delle attività di pesca nel Mediterraneo. Il governo nazionale e la Regione siciliana sono chiamati ad emanare impietose circolari che impongono un periodo di riposo dalle attività di pesca per ridurre lo sforzo di pesca e tutelare le specie ittiche più a rischio. Ma a fermarsi dovrebbero essere tutte le flotte che operano nel bacino mediterraneo, non soltanto quella italiana! Una storia che si ripete da decenni: basterebbe istituire un tavolo di confronto per addivenire ad un accordo tra Unione Europea ed i paesi dell’Africa e del Medioriente interessati.
Ed ancora: la pesca è un settore ufficialmente abbandonato a se stesso. Lo sviluppo tecnologico, le nuove scoperte, la ricerca continua della conoscenza, l’intelligenza artificiale, non trovano applicazione in questo ambiente sotto la disciplina dell’Unione Europea, destinato, fatte le dovute eccezioni, a perire per mano della burocrazia comunitaria, rafforzata sempre più dall’apatia della politica. Ed è nel rimbalzo delle responsabilità che si realizza “il delitto perfetto” e il settore della pesca muore.
Palermo, così come Roma, esegue i comandi dei funzionari di Bruxelles che, perseguendo sulla carta la rivoluzione green e la sostenibilità ambientale, uccidono l’economia ittica. Significa che l’Unione interviene in area economica di mercato, sostituendosi ai privati che curano da sé i propri interessi, sia nella veste di consumatori, sia nella veste di produttori. Altro che libera iniziativa privata. Il risultato è che, nel Mediterraneo, stanno scomparendo gli operatori della pesca. Chi continua a pensare che gli effetti della politica comunitaria restrittiva hanno prodotto e produrranno benefici per l’ambiente marino e per la salvaguardia nel Mediterraneo delle specie ittiche commercialmente rilevanti, sicuramente è uno sciocco oppure in malafede. Lo sforzo di pesca negli ultimi trent’anni non è diminuito anche a causa di altri fattori esogeni mai presi seriamente in considerazione per un progetto di rilancio della pesca mediterranea e con esso del mondo dell’impresa.
Il Mediterraneo è un condomino dove le regole vanno rispettate da tutti se si vuole raggiungere l’obiettivo di ridurre lo sforzo di pesca e salvaguardare l’ambiente marino. È un concetto facilmente intellegibile: se le flotte comunitarie osservano un periodo di arresto delle attività di cattura, anche le flotte extra comunitarie, africane e mediorientali, dovrebbero fare altrettanto. Ed invece, accade proprio il contrario; quindi, mentre i pescherecci siciliani restano in porto per lunghi periodi dell’anno, i tunisini, o gli egiziani, per esempio, pescano senza sosta in lungo e in largo nel Mediterraneo, nelle stesse zone vietate ai siciliani. Con il risultato che i mancati guadagni delle flotte comunitarie confluiscono ovviamente verso il continente africano e asiatico. L’ambiente marino non registra alcuna riduzione dello sforzo di pesca. In questa roulette, a morire sono i nostri pescatori, a perire la nostra economia. Chi continua a trarre vantaggio dalle regole restrittive imposte dagli uffici di Bruxelles? Se negli ultimi trent’anni non si sono ridotti i consumi pro-capite di prodotti ittici e i mercati hanno garantito la presenza del prodotto, qualcuno ne ha tratto guadagno. E la politica è colpevole di non aver arrestato questo disegno criminoso per il settore della pesca.
Raramente qualche politico un tantino più illuminato dichiara che viene commessa una grande ingiustizia a danno dei nostri imprenditori della pesca e dei pescatori; ma nessuno, ahimè, interviene per far invertire “il corso delle cose”!
Giuseppe Messina