Ha ragione il direttore Palazzolo a chiedere di non assediare ASP Trapani. Ha tutte le ragioni di questo mondo, perché in questa triste e drammatica vicenda ASP Trapani è “solo” un simbolo. Come lo è stata Mazara del Vallo, il cui ospedale non è stato nemmeno coinvolto dallo scandalo dei referti istologici ma da cui, grazie al coraggio della professoressa Gallo è partita l’onda che ha tolto il velo su uno dei più gravi scandali della sanità nazionale. Simboli di un sistema sanitario pubblico che inizia davvero a preoccupare i cittadini ed a minare le fondamenta della fiducia nei confronti delle istituzioni sul tema più prezioso che è la salute e la vita.
Ha ragione il direttore Palazzolo, perché non è uno scandalo tutto interno ad ASP Trapani. Non è un manager, un medico o un singolo fatto, non è “colpa” del direttore generale Croce che purtroppo, semplicemente, paga per definizione la sua responsabilità per il ruolo che riveste; è un sistema che fallisce, un sistema che non è più in grado di comprendere la gravità delle vicende e che temporeggia, che esita, che continua ad immaginare di doversi “coprire” senza nemmeno riflettere sulle conseguenze letali che tali negligenze comportano, alzando sempre più l’asticella del limite dove, moralmente, umanamente, civilmente ci si dovrebbe fermare.
Siamo purtroppo “abituati” a liste d’attesa interminabili, per molte prestazioni ormai i cittadini fanno di tutto per rivolgersi direttamente ai privati: una visita di controllo, una visita specialistica, un check up, una ecografia, una tac o una risonanza, solo per fare esempi, sono esami, fondamentali per la prevenzione e la diagnosi, che spesso sempre più persone affidano al privato, pagando gli accertamenti di tasca propria sentendosi dire “con la ricetta se ne parla fra un mese o due, altrimenti a pagamento, domani mattina!” E no, non è “colpa” dei CUP o delle strutture convenzionate, non è malvagità degli imprenditori o dei medici, ma ci sono budget da rispettare che non si possono sforare e che spesso si esauriscono in pochi giorni all’inizio del mese.
Perché, in un paese che invecchia, in un paese dove (per fortuna) si punta ad una sempre migliore qualità della vita anche da anziani, in un paese dove la consapevolezza dei cittadini nei confronti della medicina aumenta portandoti a richiedere sempre più prestazioni sanitarie e forse anche in un contesto dove i medici, costretti a difendersi continuamente da denunce ed aggressioni vedendosi imputate responsabilità civili e penali per qualsiasi evento nefasto, devono essere sempre più scrupolosi per non lasciare nulla al caso e questo si traduce anche, inevitabilmente, in maggior richiesta di prestazioni sanitarie che, forse, il sistema sanitario non è più in grado di fornire.
Ma ancora, seppur drammatica come situazione, il cittadino ha una scelta. Ha la possibilità di trovare le risorse, di indebitarsi, di inventarsi qualcosa per affrontare quella spesa che lo Stato e la Regione di fatto non riescono a garantirgli. Non in questo caso. Non quel “referto istologico” che puoi solo attendere. Puoi sollecitare, chiamare, rivolgerti ad un legale ma non puoi scegliere. Puoi sperare che il primario od il tuo medico insistano, attendi frustrato quella telefonata che tarda ad arrivare ma a quel punto, sei totalmente nelle mani della sanità pubblica, con una posta in gioco che è la più alta possibile. Non puoi scegliere di andare fuori, puoi solo sperare che quel risultato sia in ogni caso una buona notizia consapevole del tempo che scorre inesorabile. E questo non può non saperlo chi si occupa di sanità. Non può non saperlo il medico che avrebbe dovuto refertare molti più campioni, il primario, il direttore sanitario, il direttore generale ma soprattutto non può non saperlo chi riceve la PEC con il grido di aiuto lanciato da Croce, non può non saperlo chi, responsabile di altre aziende sanitarie pubbliche, potrebbe e dovrebbe dare una mano.
L’unica domanda che rimbomba in testa è “perché?”. Perché questa refertazione d’emergenza, richiesta e possibile evidentemente, fatta in 15 giorni, non si è fatta prima? Perché la Politica continua il walzer di accuse reciproche, la ricerca di colpevoli da attaccare, di teste da tagliare senza spiegare come è potuto succedere? Perché, chiedendo scusa, non spiegano come garantire che cose del genere non accadano più? Perché non raccontare ai cittadini che ne hanno il sacrosanto diritto di come immaginano, praticamente e concretamente il futuro della sanità pubblica. Di come garantire, a chi scelta purtroppo non ha, accesso alle cure ed alla prevenzione in un paese con sempre meno risorse e sempre più bisogni, magari con sistemi di priorità per i redditi molto bassi, magari con polizze sanitarie private agevolate per redditi medi. E’ questo che i cittadini terrorizzati vorrebbero sapere per tornare a fidarsi, perché nessuno vorrebbe di certo non fidarsi delle istituzioni.
Abbiamo il diritto di criticare e preoccuparci, come abbiamo il dovere di difendere l’istituzione ASP Trapani che mai sarà il nemico. Abbiamo il dovere di sostenere chi quella realtà, anche sbagliando a volte, porta avanti, ma spesso, in preda al panico, abbiamo bisogno di “vedere” il pericolo senza preoccuparci davvero di cosa si celi dietro. Ma è compito delle istituzioni regionali e nazionali, nonché delle singole aziende sanitarie raccontarci cosa è accaduto, perché e soprattutto come non accadrà più.
Ed abbiamo bisogno di una Politica capace di assumersi responsabilità, di chinare il capo, di essere sincera perché, sulla sanità pubblica, c’è in ballo la vita dei siciliani ed abbiamo il diritto ed il dovere di continuare a tenere alta l’attenzione, non la pressione su ASP Trapani che invece merita il supporto dei cittadini, su questa vicenda almeno fino a quando la Politica, quella seria, non comincerà a fornire risposte e fatti concreti a quei dannati “perché?”.
Giacomo D’Annibale